Riflessione sulla democrazia

GIUGNO 2024

L’autore

fondazione don mario operti alessandro svaluto ferro
Alessandro Svaluto Ferro
Direttore Area carità e Azione Sociale



Approfondimento

50esima Settimana Sociale dei Cattolici in Italia

Sotto il titolo Al cuore della democrazia parte la 50^ Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024. Apputamento tradizionale della Chiesa Cattolica, la Settimana Sociale è da sempre crocevia di persone e progetti diversi, dilogo e condivisione.

Lo scopo della Settimana Sociale è valorizzare la presenza e l’impegno delle Buone Pratiche, ideate e promosse da realtà di impegno sociale, gruppi e associazioni, istituzioni, imprese, pubbliche amministrazioni impegnate nella cura di un bene comune. Le buone pratiche selezionate prtecipno al percorso di preparazione, offrendo un proprio contributo di riflessione che valorizzato nei Laboratori della Partecipazione durante l’appuntamento di Trieste.

La Fondazione don Mario Operti è presente con un proprio stand al Villaggio delle Buone Pratiche.

Tutte le informazioni sul sito dedicato settimanesociali.it

In una celeberrima citazione il filosofo e padre della separazione dei poteri (base per il costituzionalismo moderno), Charles de Montesquieu, affermava che “la tirannia di un principe in un’oligarchia non è pericolosa per il bene pubblico quanto l’apatia del cittadino in una democrazia”. Il cuore pulsante di un sistema democratico non è rappresentato solo dalle regole con cui legittimamente si forma e si costituiscono i poteri, ma dal grado di partecipazione dei cittadini stessi. Senza questa consapevolezza la democrazia perde la sua radice fondamentale; una democrazia senza popolo si riduce a mera tecnica per la selezione dei gruppi dirigenti e corre il rischio di svuotarsi dei propri orizzonti e ideali. C’è da dire che nella scienza politica e nell’elaborazione delle teorie della democrazia, questo approccio è spesso e volentieri quello che va per la maggiore; i teorici di tale paradigma sono infatti chiamati proceduralisti perché ritengono sia necessaria una definizione minima di democrazia che si concentri esclusivamente su questa descrizione basilare.

Altre correnti di pensiero invece vedono nella democrazia qualcosa che va oltre le tecniche e le procedure di selezione dei governanti. Il grande filosofo americano John Rawls infatti, parlava di democrazia come “uso della ragione pubblica”, ovvero la qualificava come quello spazio che aiutava la società a dialogare, configgere e mediare circa le scelte pratiche per il governo. Modestamente penso che oggi, vista la duratura crisi delle democrazie occidentali, sia bene spostare l’asse della riflessione proprio su questo elemento.

Un certo grado di apatia lo possiamo riscontrare nel continuo e costante decrescere della partecipazione dei cittadini alle elezioni (di qualsiasi livello, da quello amministrativo a quello nazionale). Ma il disinteresse per la vita politica non possiamo riscontrarlo solamente nella quantità della partecipazione, ma anche nella sua qualità: i processi di costruzione del consenso politico si basano su messaggi elettorali semplificati, spesso condotti da tecniche del marketing più che da pensieri politici elaborati, con l’obiettivo di “accalappiare” più voti possibili nell’immediato. Una partecipazione che si riduce al “momento elettorale” e che vede invece le fatiche e le difficoltà della sua quotidianità, attraverso l’impegno costante e duraturo nella società attraverso le organizzazioni intermedie.

Alcuni pensatori, a tal proposito, hanno proprio elaborato delle riflessioni su questa nuova realtà, caratterizzata da immediatezza e disintermediazione (tra le istituzioni e il cittadino, tra la classe dirigente e gli elettori), coniando il termine di postdemocrazia (Crouch). Si tratta infatti di sistemi politici in cui le norme democratiche non vengono messe in discussione sul piano formale, ma che vedono, nella sostanza, uno scivolamento del potere verso le élite e le lobby (soprattutto di tipo economico) e che riescono ad orientare, secondo le proprie preferenze, le scelte della politica.

Ma oggi vi è un ulteriore fenomeno che possiamo osservare e che rischia di mettere in crisi anch’esso l’idea di democrazia, ovvero il populismo che invece riduce la partecipazione politica alla costruzione di un consenso immediato sul leader di turno. Elitarismo e personalizzazione della politica sono due elementi che contrastano proprio con l’idea di partecipazione diffusa; credo, infatti che oggi, l’apatia, spesso possa derivare da un certo senso di impotenza e dalla sensazione della mancanza di incidere davvero nella realtà delle cose.

La complessità sociale con cui ci troviamo a fare i conti e la portata delle sfide che abbiamo di fronte (come lo sviluppo sostenibile, la transizione ecologica, la costruzione di un welfare più inclusivo e la ricerca della pace) richiederebbero un maggiore sforzo di partecipazione da parte di tutti i soggetti che articolano la vita sociale di un Paese; spesso quest’ultima invece viene proposta come ostacolo perché è più veloce e sbrigativo delegare le responsabilità ad altri. Bisogna ribaltare questo paradigma e vedere la partecipazione come una grande risorsa per affrontare insieme i problemi comuni e che riguardano l’edificazione del bene comune. Abbiamo accumulato negli ultimi due/tre decenni una sfilza di leader politici che si sono presentati non solo come potenziali “salvatori” della Patria, ma che hanno teorizzato (e qualche volta praticato) la necessità di sbilanciare i poteri a favore degli organismi di governo rispetto a quelli parlamentari, spesso dipinti dalla stessa classe politica come inutili e dannosi.

La rapidità dei cambiamenti sociali ed economici dell’ultima fase della globalizzazione sembra appunto contraddire la naturale lentezza del processo decisionale democratico (a volte confondendolo con la burocrazia). L’antipolitica in un certo senso nasce da queste osservazioni: contrapporre le logiche veloci del mondo privato (e aziendale) con quelle viziose e lente della politica. Pertanto appare giusto, nel senso comune (e a volte non a torto), sospenderle, cambiarle in nome di una velocità che si può garantire solamente spostando il reale potere agli esecutivi e ai loro comandanti in capo. Ragionare in questi termini di democrazia restituisce libertà e responsabilità ad ognuno di noi sia come singoli cittadini, sia come realtà sociali organizzate.

Riqualificare la democrazia oggi diventa una priorità per l’agenda del Paese che la Settimana Sociale dei cattolici in Italia (che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio) ha messo al centro della sua riflessione, e dalla quale non possiamo più fuggire se vogliamo costruire davvero una società e un futuro più giusto, più inclusivo e in cui ognuno si senta parte di qualcosa di più grande. Anche per questa ragione è importante ripartire da buone pratiche e da nuove forme di partecipazione politica, valorizzando anche le trasformazioni tecnologiche a nostra disposizione, ridando un senso profondo ad una parola che anche per i cristiani deve tornare ad essere un vocabolo e un’esperienza significativa.

Pertanto si può tracciare una mappa di priorità per ridare dignità e nuovo slancio ideale ai sistemi liberal-democratici:

  • ricostruire una nuova etica delle classi dirigenti, preparare, anche in questo tempo, persone e gruppi nuovi, affinché siano abitati da senso di responsabilità, rispetto delle pubbliche istituzioni e competenza. Le democrazie hanno bisogno dell’ampia partecipazione popolare che non deve e non può confondersi con l’improvvisazione. Consenso e competenza devono trovare un nuovo equilibrio perché non basta avere un pacchetto di voti per guidare un Paese;
  • riscoprire il gusto della partecipazione, della socialità, del dialogo e del prendere parte insieme alle decisioni (magari aiutati dalle nuove tecnologie). Per combattere la cultura leaderistica (e della delega in bianco) serve praticare strade nuove che rendano la partecipazione ampia come un desiderio e un elemento qualificante. In parte, anche nel nostro paese, non mancano belle esperienze di una società civile che vive con dedizione e coraggio l’idea del bene comune come strada di ricerca collettiva. Serve forse sistematizzarle e rendere pienamente esperienze di “politica”.
  • le istituzioni pubbliche (senza per questo immaginare forme di neo-statalismo) devono tornare ad incidere positivamente nella vita delle persone, dando testimonianza che il loro intervento risulta decisivo e importante nella quotidianità e nell’ordinarietà di famiglie, imprese e cittadini. Viceversa le sirene dell’antipolitica e del populismo saranno vincenti perché richiamano ad un ritorno al passato tanto affascinate quanto perdente. E se i populismi vinceranno questa battaglia sveleranno la loro natura illiberale, ovvero manifesteranno la loro intrinseca essenza autoritaria.